Superstizioni popolari legate ai valichi montani

A dire il vero, i valichi montani raramente sono stati semplici passaggi tra una valle e l’altra. Luoghi di soglia, sospesi — letteralmente — tra terra e cielo, sembrano portarsi dietro da secoli un alone di mistero che, per qualcuno, non si è mai dissolto del tutto. 

 

Le comunità alpine hanno conservato e ritoccato nel tempo un bagaglio di credenze legate a questi confini naturali, dove ciò che era noto sfiorava l’ignoto. Non solo folklore: erano anche risposte pratiche a paure concrete e a viaggi che, specie d’inverno, potevano diventare rischiosi. O peggio.


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Il rituale delle pietre sui tumuli

Tra gli usi più tenaci, quello di lasciare una pietra sui tumuli a bordo sentiero. Un gesto minuscolo, eppure carico di significati: un modo per farsi notare dagli spiriti senza provocarli, o per chiedere protezione prima di imboccare la cresta. Molti giuravano che valesse la pena fermarsi, anche solo per scaramanzia. Chi non si fermava talvolta tornava indietro.


La leggenda di Forca di Presta è spesso citata come esempio: i viandanti posavano la loro pietra per non incrociare l’ira delle anime di due fratelli caduti in duello. Il casino di storie e leggende che circondava questi luoghi rendeva il viaggio un'esperienza carica di tensione spirituale, dove ogni gesto poteva fare la differenza tra un passaggio sicuro e l'incontro con forze ostili. Può sembrare suggestionabile, tuttavia trovarsi nella nebbia, da soli, con il vento che fischia non lascia indifferenti.


Spiriti, folletti e presenze soprannaturali

Nei racconti, i valichi pullulavano di presenze. Spiriti, folletti, talvolta figure più oscure: popolavano i discorsi delle veglie, davano un nome a rumori inspiegabili e luci lontane. A torto o a ragione, a queste entità venivano attribuite malattie improvvise, raccolti falliti, sparizioni. È difficile stabilire dove finisse la paura e cominciasse la fantasia, o viceversa.


Le storie correvano di bocca in bocca — non sempre uguali. Un episodio diventava monito, un monito leggenda. Quando un villaggio veniva colpito da un’epidemia o da una gelata tardiva, si guardava verso l’alto, verso i valichi: “Dev’essere passato di lì”, mormoravano. Talvolta era solo un modo per tenere insieme cause e conseguenze, quando le cause non si vedevano.

 

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I demoni confinati oltre le creste

In più di una tradizione alpina si racconta di spiriti malevoli spinti oltre le creste, quasi che i valichi potessero funzionare da frontiera spirituale. La leggenda dei demoni del San Bernardo, per esempio, attribuisce a preghiere e riti dei monaci la creazione di una sorta di barriera invisibile. Non è chiaro quanto ci sia di storico, ma l’immagine resta potente.


C’era anche una funzione educativa. Storie pensate per tenere i bambini lontani dai dirupi e, insieme, per suggerire che una vita “dritta” garantisse passaggi più sicuri. È possibile che funzionasse; forse serviva soprattutto agli adulti per dare regole semplici a un mondo complicato.


Rituali funebri e purificazione

Nelle aree piemontesi e in altre zone alpine, la morte e il passaggio montano erano, talvolta, intrecciati. Durante i transiti si suonavano campane, si aspergeva acqua benedetta, si bruciavano erbe dal profumo netto. Non pare improvvisazione: erano pratiche consolidate, apprese, corrette, ripetute.


Il suono delle campane si credeva potesse tenere a distanza gli spiriti irrequieti. L’acqua e le erbe, invece, “pulivano” il viandante prima della soglia. Anche ammesso che fossero soprattutto simboli, l’effetto psicologico non deve essere stato trascurabile. Respirare, concentrarsi, fare un gesto. Ripartire.


Memoria di antichi conflitti

I cumuli di pietre, in molti valichi, sembrano custodire memorie di scontri, duelli, sepolture affrettate. Aggiungere una pietra — una soltanto — diventava un atto collettivo, quasi un saluto. Col tempo quei mucchi crescevano e, crescendo, raccontavano il passaggio di migliaia di persone che avevano scelto di non dimenticare.


In tutto questo si riconosce una forma di rispetto. O meglio: un modo essenziale di stare in rapporto con chi è venuto prima. Ogni pietra, un tributo muto. Ma non per questo meno eloquente.


Ancora oggi i valichi antichi mantengono un’aura che qualcuno definirebbe misteriosa — altri, più prosaicamente, suggestiva. Le superstizioni che li circondano parlano di un paesaggio che non è solo roccia e gelo: è anche soglia, incontro fragile tra sacro e profano. Forse è proprio in quella fragilità che sta il loro fascino. 

 

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